Scipione l'italiano by Franco Cordeli

Scipione l'italiano by Franco Cordeli

autore:Franco Cordeli
La lingua: ita
Format: epub
editore: Luigi Pellegrini Editore
pubblicato: 2016-12-01T16:00:00+00:00


Poi c’è lo sport.

Essendo highbrow, non lo pratico mai.

Ma amo vedere in azione chi lo fa con passione.

Virginia Woolf

Città del Messico, 1986

Squadre. Il Belgio mi piaceva molto. In Belgio-Argentina, la prima e la seconda volta, grande concentrazione, grande dispendio di energie, sempre in due o tre sull’uomo... Ma il Belgio è troppo piccolo, e non ha storia. Non si vince un Mondiale senza storia, senza una cultura specifica. Il denaro, da solo, per certe cose non basta... Allora mi sono innamorato dell’Algeria nel mondiale del 1982, e del Marocco in quello messicano. Quando l’Algeria sconfisse la Germania tutti quelli che hanno un cuore hanno fatto festa. Pensammo che l’idea di Castro e di Bumedien, di mettere lo sport al primo posto nella costituzione nazionale, non era affatto una cattiva idea. Solo che tra la boxe e il calcio c’è una differenza enorme. Nella boxe un paese in via di sviluppo può già vincere perché l’azione è affidata al singolo – e Castro non ha mai avuto problemi, il suo sport è sempre stato la boxe. Diverso è il discorso per Bumedien. Il rapporto tra le regole del gioco e la disciplina di squadra è ancora troppo complesso...

Mentre pensavamo che l’Inghilterra avrebbe vinto i Mondiali (non abbiamo mai creduto al Brasile ed eravamo convinti che il Belgio ne avrebbe avuto ragione, almeno quanto, anni dopo, avremmo giurato sulle vittorie del Belgio contro l’Unione Sovietica e contro la Spagna), la nostra infatuazione per il Terzo Mondo si allargò dall’Algeria all’Honduras, dal Marocco al Messico – per i nomi dei suoi giocatori, Negrete o Tomas Boy. Essere innamorati dell’Honduras o del Messico era come esserlo di Chaplin, un sentimento un po’ ridicolo, un sentimento minore e perfino crepuscolare. Ma quando gli scatenati giocatori di quei paesi – quei ragazzi affamati di donne bianche o europee, e incontenibili negli intervalli tra una partita e l’altra – quando quei ragazzi, bianchi o neri, furono eliminati al novantesimo della loro ultima partita e piansero, noi non potemmo vietarci di piangere con loro. Ci commuovemmo perché in quelle occasioni abbiamo scoperto e continuato a scoprire che lo sport è una cosa molto seria. D’altra parte: perché il Brasile non vince più nessun Mondiale? Non è forse a causa delle troppe Donne Flor e Tieta de Agreste e Gabriele che ci sono nelle loro vene? Non è a causa del troppo Amado, lo scrittore, che c’è nelle loro teste? Man mano che il Mondiale di calcio – cioè il maggiore spettacolo del pianeta – diventerà sempre più ricco e complesso, il Brasile a causa del suo inveterato ottimismo, della sua allegria, e diciamo pure della sua baldanza, continuerà a deludere i suoi fans. Non meno, beninteso, dell’Argentina: a causa del suo gauchismo (che è poi, precisamente, quanto le consente di vincere…).

Diverso il discorso per l’Urss: una squadra che perderà sempre, almeno finché il suo paese sarà così grande, un impero. Nella vita, o nel calcio, gli imperi vincono solo le battaglie, ma mai le guerre; o vincono solo in casa, mai fuori.



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